Stampa questa pagina

Nascere nel suono…… L’ascolto della musica in gravidanza

di Fabio Pianigiani

L’esperienza musicale

L’esperienza musicale può essere considerata “quotidiana” e “comune” poiché vissuta ogni giorno da moltissime persone che non necessariamente sono esperte e/o specialiste della musica. È una competenza che inizia ancor prima della nascita e ci accompagna durante tutto il corso della nostra vita: nella scoperta dell’ambiente che ci circonda, nelle relazioni con gli altri, nell’avventura dell’emozione artistica.

Questa esperienza riguarda sia il suono, la cui origine è intesa come naturale o prodotta dall’uomo, sia la produzione sonora culturale, ovvero la musica. Parliamo dunque di esperienza sonora ed esperienza musicale, due sfere distinte ma che sfumano l’una nell’altra come fattori di emozione, d’interesse, di relazione, di memoria.

Dove nasce l’esperienza sonora?

E’ nota ormai da anni l’idea, sostenuta da diversi studiosi, di una nostra esperienza sonora esistente ancor prima della nascita. Questa tesi è convalidata dalla certezza che l’orecchio umano è, effettivamente, uno dei primi organi che giunge a formazione completa nel feto, oltre alla dimostrazione di varie prove sperimentali. Molti di questi dati sono basati sulla capacità dei neonati di riconoscere non solo la voce materna, ma anche brani musicali ascoltati ripetutamente dalla madre durante la gravidanza. La verifica di ciò si ha tramite la capacità che hanno tali brani di calmare il bimbo e, in seguito, provocare in lui reazioni attentive. Ciò che si può affermare con sicurezza è che il feto inizia a prendere contatto con l’universo sonoro già dal quinto mese di gestazione, e che, la sua cosiddetta “audizione prenatale”, è “filtrata” poiché esso è immerso in un ambiente liquido e pertanto, la percezione dei segnali acustici, avviene attraverso una conduzione liquida e ossea. Secondo alcuni studiosi, nell’audizione intrauterina, le frequenze acute e alcuni schemi intonativi e ritmici sono meno deteriorati dalla filtrazione liquida ma, secondo altri, questi stimoli sonori possono raggiungere il feto solo se contengono frequenze relativamente basse.

Alfred A. Tomatis, otorino laringoiatra francese, ha tentato di ricostruire, in laboratorio, le condizioni dell’ascolto prenatale e di eseguire delle registrazioni che simulassero quanto udito dal feto, arrivando a sostenere che l’ambiente sonoro prenatale è particolarmente gradevole. Dopo aver consultato la maggior parte della letteratura scientifica sull’argomento, lo studioso concluse che la voce materna agisce non solamente come una sorta di sostanza nutritiva emozionale, ma prepara il bambino anche all’acquisizione del linguaggio dopo la nascita. E’ per questa ragione che Tomatis utilizza la voce materna per rimettere in moto il processo di ascolto. La voce viene filtrata elettronicamente al fine di ricostituire l’ambiente sonoro intrauterino. Le reazioni dei bambini così come quelle degli adulti mostrano che l’uso della voce materna ha un forte effetto terapeutico: i bambini si calmano, come se la voce li tranquillizzasse, diventano più affettuosi, in particolare nei confronti della madre.

La voce materna fornisce la base solida che permette al processo di ascolto di svilupparsi, processo che segue le diverse fasi della crescita del bambino e che conduce allo sviluppo del linguaggio.
La terapia messa a punto da Tomatis non è altro che un tentativo di riprogrammare le diverse fasi dello sviluppo umano attraverso un’esperienza sonora simbolica.

È senz’altro vero quindi, sostenere che l’esperienza sonora prenatale può condizionare precocemente diversi atteggiamenti, comportamenti, inclinazioni o avversioni relativi al suono e alla musica, ma anche alla relazione con l’ambiente e con gli altri, oltre a produrre effetti strutturali e funzionali sull’apparato uditivo. Si può anche immaginare che l’ascolto prenatale possa già costituire la premessa di un fenomeno d’imprinting sonoro- musicale, ovvero ciò che può rendere familiari certi suoni, farli amare oppure allontanarci da loro, proponendo così già una traccia dell’ambiente e della società in cui vivrà il bambino.

L’ambiente sonoro dopo la nascita

La nascita provoca un totale cambiamento della condizione di audizione poiché passa dalla conduzione liquida a quella aerea. Il neonato si adatta comunque in fretta a questa nuova condizione trattenendo nella sua memoria quanto aveva ascoltato nel periodo prenatale, con la possibilità di riconoscere suoni, voci e alcune musiche anche se modificate. L’interesse del bimbo all’ascolto si mostra già a partire dalla seconda settimana di vita, momento in cui è attratto da suoni e musiche che provocano in lui reazioni e sorrisi.

Due sono le tracce che testimoniano l’esistenza di una memoria sonora prenatale e del fenomeno di imprinting sonoro:

  • la preferenza del bimbo per la lettura di un racconto che la madre aveva già effettuato nel periodo di gestazione rispetto ad uno proposto solo dopo la nascita;
  • la facoltà del bimbo di “dare un significato particolarmente positivo al rispecchiarsi del suono prenatale nel suo postnatale”.

Ciò che è necessario tenere sempre in considerazione è che, nelle prime settimane di vita, lo sviluppo dell’apparato uditivo è maggiore rispetto a quello dell’apparato visivo, e da ciò consegue l’assoluta importanza delle prime esperienze sonore e musicali sulla vita futura oltre alla necessità che esse si svolgano nelle migliori condizioni.

L’importanza della voce materna

Considerando l’importanza precoce del rapporto che il bimbo ha con la madre attraverso il suono, il ricercatore psicoanalista clinico Anzieu, ha formulato un concetto fondamentale per comprendere il senso inconscio della voce materna come elemento strutturante dell’esperienza del tempo e organizzatore delle capacità musicali: si tratta del concetto di “involucro sonoro del sé”, dove il Sé, per Anzieu, è il primo embrione della personalità sentita come unità e come individualità. In questo stadio il bimbo non è in grado di avere coscienza della sua persona e non sa definire l’Io e l’Altro, ma è tuttavia capace di attribuire a una sua, pur confusa, identità, le sensazioni e gli stimoli che provengono dall’ambiente.

Se è vero che l’esperienza sonora è la prima tra tutte, ne consegue che il primo “involucro del sé” non può che essere di tipo sonoro. Anzieu fa notare l’esistenza, ancora più precoce, di uno specchio sonoro (chiamato anche pelle auditivo - fonica) e della sua funzione per l’acquisizione dapprima della capacità di significare e in seguito, di simbolizzare. È stato inoltre dimostrato che, quando il bambino inizia a fissare il viso dell’adulto, la sua attenzione è maggiore quando quest’ultimo gli parla. Possiamo quindi ipotizzare che, durante il suo sviluppo, una fase fondamentale è quella in cui il bimbo inizia a produrre scambi vocali con la madre, processo che Murizio Disoteo4 definisce appunto “fase dello specchio sonoro”. La voce materna, così precocemente riconosciuta e cercata, è “la voce che il bambino percepisce all’interno di una relazione simbiotica di scambio” (Imberty); in pratica, se la madre non si rivolge direttamente a lui e non usa una particolare intonazione, il bambino resta indifferente.

La qualità, le modalità e le forme della relazione sonora tra il bimbo e la madre, sono considerate fondamentali nella determinazione delle prime attività musicali del piccolo e nell’apprendimento del linguaggio, oltre ad essere ritenute importanti per l’ipotesi di una loro influenza prolungata anche nell’età adulta.

4 “Specchi Sonori, identità e autobiografie musicali “ (2002, in collaborazione con M. Piatti).


Considerazioni conclusive

Un buon rapporto con il suono e la musica già nel periodo prenatale, una positiva relazione vocale con la madre e più in generale con gli adulti, sono condizioni importanti per un corretto sviluppo cognitivo e affettivo, per l’apprendimento del linguaggio e per prefigurare un proficuo rapporto con la musica. Al contrario, situazioni perturbate come: ambienti acustici inquinati, insufficienti rapporti sonoro-vocali con gli adulti e la mancanza di stimoli sonori possono provocare problemi rilevanti.

Nel nostro procedere è emerso chiaramente quanto sia importante e significativa l’esperienza sonora e musicale primaria rispetto alle altre; resta però da chiarire la questione riguardo l’importanza delle influenze sonore dell’ambiente nella costruzione del rapporto del bambino con il suono e nella formazione della sua personalità. Disoteo crede che, a giungere al nascituro, non siano solo i suoni interni al corpo materno o la voce della madre, ma anche diversi e numerosi suoni ambientali (tra cui la musica) relativi all’ambiente naturale, culturale e sociale in cui vive la madre e in cui il bambino stesso vivrà in seguito. Se si esamina il problema sotto questo punto di vista, non solo si scopre che l’esperienza prenatale è già legata in qualche modo a quanto s’incontrerà dopo la nascita, ma si può anche comprendere come l’imprinting sonoro-musicale prenatale sia condizionato dall’ambiente, dalla società e dalla cultura in cui avviene la gestazione. Ciascuno di noi ha un proprio personale bagaglio di suoni e musiche che fanno parte della memoria più profonda e che costituiscono una parte non secondaria della propria identità. L’importanza dei suoni come luogo di memoria è in genere poco considerata a causa del loro carattere non materiale: non possono essere raccolti, ordinati e/o conservati come gli oggetti. I suoni sono sfuggenti, esistono in un determinato momento e luogo, ma non possono essere dominati ne collezionati. I suoni di un cortile dove i bambini giocano, quelli legati alle loro vacanze, alla prima scuola, una semplice ninna nanna, sono suoni presenti nella nostra memoria, pronti a riaffiorare appena si presenta l’occasione.

Se consideriamo poi la forma strutturata dei suoni, la musica e le canzoni, ecco che siamo di fronte a veri e propri “oggetti autobiografici”, luoghi di memoria che raccontano di persone, emozioni e situazioni.

Le nostre prime esperienze sonore non sono evidentemente legate solo a processi d’ascolto, ma anche alla produzione di suoni tramite oggetti, giochi, voci di madri e adulti. Si parla di una pratica attraverso la quale il bambino esplora le possibilità sonore attraverso l’ambiente che lo circonda. I bambini procedono per tentativi, lanciano, spostano o muovono oggetti per procurare suoni. È la loro forma di esplorazione sonora, la prima fase dell’attività musicale spontanea del bambino. Essa non è limitata solo ai primi mesi o anni, bensì continua lungo tutto il corso della vita: il gusto, il piacere delle sonorità belle e interessanti sono tra le prime qualità di qualunque musicista, anche in età adulta. È necessario inoltre considerare che la scoperta di nuovi suoni prodotti, potenzia anche la voglia di ascoltare e, viceversa, i continui stimoli che provengono dall’ascolto dei suoni incentivano l’esplorazione.

È legittimo chiedersi, a questo punto, se questo gusto del suono continui a essere presente nelle diverse età della vita e in particolare nell’età adulta.
La risposta sta nell’esperienza quotidiana di ognuno di noi. Chiunque può rendersi conto di come i suoni, nell’esperienza di ogni giorno, siano in grado di catturare la nostra attenzione, di affascinarci, di provocare emozioni, di evocare ricordi e sollecitare la memoria.